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"Elena" Scena 10, spettacolo al Teatro "La Fenice" di Senigallia, 6 Giugno 2025. Foto di @Andresco1799.
Lo spettacolo Elena, ispirato alla tragedia di Euripide[1], è nato in collaborazione con il Liceo Classico G. Perticari di Senigallia, il regista Giorgio Sebastianelli e la direzione artistica di Daniele Tabellini (@Fupete). Il progetto del gruppo Mare indaga il mare come spazio simbolico e liminale, soglia tra realtà e illusione. Attraverso il live painting digitale con Tagtool, le immagini si dissolvono e trasformano, avvolgendo la scena e amplificando le emozioni dei personaggi.

- Gaia Zuccaro (@zetalcontrario)
- Domenico De Pasquali (@ddepasquali)
- Edoardo Oliva (@edoli01)
- Andrea Scorrano (@Andresco1799)
Tagtool
Livepainting
Confine
Orizzonte
Chiaro e scuro
Il processo creativo dello spettacolo si è aperto con una fase divergente, dedicata all’esplorazione libera e alla generazione di idee. In questa prima parte, la classe è stata suddivisa in gruppi di lavoro temporanei, ciò ha permesso di avviare un confronto collettivo sul testo dell’opera, stimolando riflessioni condivise e approcci interpretativi eterogenei.
Accanto a momenti di brainstorming, sketch visivi e moodboard iniziali, si è sviluppata un’indagine multidimensionale sui significati dell’opera, che ha toccato aspetti narrativi, scenici ed emotivi: dai personaggi all’ambientazione, dai movimenti scenici alle atmosfere evocate. Inoltre, gli incontri con il regista e i primi feedback hanno permesso di far emergere le principali macrotematiche da approfondire, offrendo una prima cornice alle esplorazioni in corso.
Immagine raffigurante le moodboard sviluppate dai singoli gruppi di lavoro.
Immagine raffigurante le tavole Lotus Blossom dei singoli gruppi di lavoro.
Sulla base delle attività precedenti, i singoli collettivi hanno proposto quattro differenti visioni sullo spettacolo, documentate da tavole Lotus Blossom (utili per amplificare e collegare tra loro i diversi spunti emersi), moodboard in grado di accogliere elementi visivi, immagini evocative e riferimenti atmosferici (creando in seguito una base condivisa di ispirazione) e una timeline dettagliata. Quest'ultima in grado di mettere assieme le informazioni raccolte dal regista, i feedback del docente e le ricerche del gruppo.
La conclusione della fase in oggetto ha posto le fondamenta per lo sviluppo scenografico e tematico, offrendo una direzione creativa solida su cui costruire gli step successivi.
Terminata la fase iniziale di esplorazione, che ha permesso di far emergere i principali nuclei tematici dell’opera, si è avviata la fase convergente del processo creativo, orientata alla sintesi e all’approfondimento.
Le riflessioni sviluppate in precedenza sono state riorganizzate in cinque grandi aree tematiche — mare, morte, doppio, divino e legami — ognuna assegnata a un nuovo gruppo di lavoro. Il nostro team si è dedicato all’analisi del tema del mare.

Immagine raffigurante la tavola Lotus Blossom formata dall'intera classe.
In questa nuova fase, le lotus blossom e le moodboard prodotte da ciascun gruppo sono state messe in relazione, dando vita a un confronto trasversale che ha arricchito la comprensione collettiva dell’opera. Questo intreccio di visioni ha reso possibile una lettura più complessa e sfumata dei legami tra le diverse tematiche.
All’interno di questo contesto, abbiamo condotto un nuovo lavoro di mappatura della sceneggiatura (timeline), condivisa con l'intera classe al fine di coordinare e sviluppare i temi definiti, sia individualmente (identificando i passaggi in cui i singoli si manifestano) sia collettivamente (progettare in che modo poterli far interagire).
Fin dalle prime fasi del lavoro, l’idea era quella di trattare il tema del mare non in modo descrittivo o realistico, ma come elemento evocativo, capace di suggerire emozioni, stati d’animo e dinamiche interiori. Il nostro intento è sempre stato quello di restituire la presenza del mare attraverso segni scenici essenziali, privilegiando una rappresentazione simbolica piuttosto che narrativa.
In quest’ottica, si è iniziato a ipotizzare l’impiego di teli e tessuti, mossi naturalmente o artificialmente, come possibile strumento per simulare il movimento delle onde, evocando l’instabilità e la forza mutevole dell’acqua. Allo stesso tempo, si è immaginato di costruire uno spazio visivo fortemente caratterizzato da una palette cromatica ridotta, basata su pochi colori distinti, capaci di guidare lo sguardo e creare un linguaggio scenico essenziale ma incisivo.
Queste prime intuizioni hanno orientato le successive riflessioni, aprendo la strada a una ricerca più approfondita sulla resa scenica del tema e sul suo impatto drammaturgico.
Elena è una storia di identità negate, apparenze ingannevoli e verità taciute. L’opera prende le distanze dalla narrazione tradizionale del mito: Elena non è mai stata a Troia. Per volontà della dea Era, al posto suo Paride ha ricevuto soltanto un simulacro, un’immagine d’aria perfetta e ingannevole. La vera Elena è stata sottratta da Ermes e condotta in Egitto, nella reggia del re giusto Proteo, dove ha vissuto nascosta, lontana dalla guerra combattuta in suo nome.
La vicenda si apre con il suo prologo, una confessione rivolta direttamente al pubblico. Elena racconta il paradosso che la abita: essere diventata l’icona di un conflitto che ha distrutto città e uomini, senza averne mai preso parte. In Egitto è prigioniera di una fama che non le appartiene e del desiderio di Teoclimeno, figlio del defunto Proteo, che vuole farla sua sposa con la forza.
Nel frattempo, Menelao – reduce da una guerra che ha consumato dieci anni della sua vita – naufraga proprio sulle coste egiziane. Con sé ha quella che crede essere sua moglie, Elena, l’immagine ingannevole strappata a Troia. Ignora che la vera Elena si trovi proprio lì. Quando i due si incontrano, si trovano di fronte a un enigma: due corpi, due verità, un’identità smarrita e da ricostruire.
Il momento del riconoscimento è centrale: la realtà si incrina, le maschere crollano, e ciò che è stato taciuto per anni inizia a venire alla luce. A custodire questa verità è Teonoe, sorella di Teoclimeno e veggente, capace di vedere oltre le apparenze. Sarà lei, incarnazione della giustizia divina, a offrire a Elena e Menelao la possibilità di riunirsi e costruire una via di fuga.
Attraverso un piano audace – che prevede un finto funerale in mare, travestimenti e parole dosate con cura – i due riescono a ingannare Teoclimeno e a conquistarsi la libertà. La fuga non è soltanto fisica, ma simbolica: è la riconquista della verità, dell’identità, della possibilità di scegliere il proprio destino.
Il mito si chiude con l’apparizione dei Dioscuri, fratelli di Elena, che sanciscono il ritorno dell’equilibrio. Elena viene finalmente riabilitata, Menelao torna a casa, e la verità prende il posto dell’illusione. Resta, in chiusura, una riflessione profonda sul peso delle narrazioni imposte, sulla forza dell’immagine e sulla fragilità dell’identità quando è nelle mani degli altri.
All’interno del nostro lavoro, il mare non è stato trattato semplicemente come un’ambientazione o un riferimento mitologico, ma come un vero e proprio filo conduttore emotivo, simbolico e scenico. È una presenza fluida e ambivalente, capace di rappresentare tanto la perdita quanto la rinascita, il pericolo quanto la possibilità di salvezza.
Fin dalle prime fasi del processo creativo il mare è stato riconosciuto come presenza trasversale a numerosi momenti dello spettacolo: Prologo, Scena 1, Scena 3, Scena 9, Canto II, Canto IV ed Epilogo. In queste scene, si manifesta sotto forma di suono, racconto, immagine o memoria, segnando continuamente i corpi e le parole dei personaggi.

Immagine raffigurante le fasi dello spettacolo in cui l'elementi del mare è stata identificato.
Tuttavia, nel corso del lavoro, sono emersi tre momenti in cui il mare assume un ruolo drammaturgicamente centrale, veri nodi narrativi in cui la sua presenza diventa attiva e determinante:
- In Scena 3, l’approdo di Menelao naufrago sulle coste egiziane restituisce un mare distruttivo, che ha annientato la flotta e lasciato l’eroe spaesato e svuotato. Qui il mare è trauma, disgregazione, perdita di orientamento.
- In Scena 10, Elena e Menelao inscenano un funerale in mare per ottenere una nave e fuggire. Il mare si trasforma in complice silenzioso, un passaggio strategico verso la salvezza e il ritorno, con un forte valore rituale.
- Nel Canto IV, il coro evoca il mare con immagini poetiche e cosmiche: uccelli migratori, costellazioni, onde e rotte. In questo momento, il mare si fa spazio sacro, abitato da memorie, dei e promesse, diventando metafora di un desiderio di ritorno e riconciliazione.
Questi momenti verranno analizzati più nel dettaglio nella sezioni successive, in cui esploreremo anche il mare come elemento concettuale, a partire dalle concetti chiave come: IO e VASTO oltre a MEMBRANA e CONFINE.
Per approfondire la complessità del mare come presenza scenica e concettuale, il nostro gruppo ha lavorato su due assi tematici: da un lato il rapporto tra identità individuale e immensità (IO / VASTO), dall’altro il carattere liminare e ambivalente del mare (MEMBRANA / CONFINE). Questi quattro termini ci hanno permesso di strutturare un’indagine simbolica che va oltre la funzione narrativa, trasformando il mare in una vera e propria condizione dell’esistenza scenica.
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IO / VASTO: Il primo asse analizza il contrasto tra il singolo e il grande, tra ciò che è fragile e ciò che è immenso. Il “mare-vasto” non è solo orizzonte fisico, ma spazio psichico in cui l’“io” rischia di perdersi. Il personaggio di Menelao incarna perfettamente questa tensione: in Scena 3 approda svuotato, disorientato, spezzato da un viaggio che ha smarrito il suo senso. Il mare è, in questo caso, assenza di confini, disgregazione, annullamento della propria forma. Allo stesso tempo, è proprio nell’incontro con il mare che il personaggio può ricostruirsi, riconoscersi nel riflesso dell’altro, nella memoria dell’origine.
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MEMBRANA / CONFINE: Il secondo asse si concentra sulla natura porosa e instabile del mare. Più che linea di separazione, il mare agisce come membrana sottile tra mondi, corpi, significati. È il confine tra Grecia ed Egitto, ma anche tra simulacro e realtà, tra ciò che si è e ciò che si appare. In Scena 10, l’atto rituale del funerale in mare mette in scena questo attraversamento: il mare diventa alleato e complice, una superficie simbolica da attraversare per cambiare condizione, per trasformare lo status da “perseguitati” a “liberi”.
Nella nostra visione, la membrana non separa nettamente, ma lascia passare, trattiene qualcosa, sfuma. Il mare, quindi, è al tempo stesso barriera e ponte, filtro e portale. È lo spazio in cui ogni certezza si dissolve, ma anche l’unico in cui possa emergere un senso nuovo.
Per le immagini da proiettare durante lo spettacolo ci siamo ispirati al lavoro del fotografo giapponese Hiroshi Sugimoto, in particolare alla sua serie Seascapes. Queste fotografie mostrano il mare e il cielo divisi da una linea orizzontale precisa. Sono sempre in bianco e nero, essenziali, ma molto potenti visivamente.
Ci hanno colpito perché trasmettono due sensazioni che volevamo portare anche nella scena: l’idea di confine come tra luce e buio, tra sopra e sotto, ma anche l’idea di vastità, di qualcosa di aperto, immenso, che lascia spazio alla riflessione. Le sue immagini non raccontano una storia, ma aprono un orizzonte mentale, come fa anche il teatro. La scelta del bianco e nero è legata proprio a questo: lavorare con i contrasti forti per creare un ambiente visivo semplice ma carico di significato. La linea dell’orizzonte, così chiara nelle sue foto, diventa simbolo sia di separazione che di continuità tra due mondi. In tutte queste foto si sente un senso di silenzio e di tempo sospeso. Abbiamo cercato di portare questi elementi anche nelle immagini dello spettacolo, per creare un’atmosfera visiva che sia profonda, essenziale e aperta all’immaginazione.

Partendo da sinistra: Baltic Sea, Rügen (1996) - Ligurian Sea, Saviore (1993) - Caribbean Sea, Jamaica (1980)[2]
Tra i riferimenti visivi e concettuali del nostro progetto c’è anche Tony Orrico, artista e performer noto per i suoi grandi disegni realizzati con il corpo, attraverso gesti ripetuti e coreografati. Abbiamo scelto il suo lavoro perché il segno, nelle sue opere, non è solo un elemento grafico ma diventa espressione fisica e mentale, qualcosa che nasce dal movimento e dalla presenza del corpo nello spazio. Questo aspetto ci ha colpiti profondamente, perché ci permette di leggere il segno non solo come linea di confine, ma anche come gesto, ritmo, memoria e tensione.
Le sue spirali, simmetrie e trame create a mano libera ci hanno ispirato nella costruzione di un linguaggio visivo fatto di segni, che nel nostro spettacolo può suggerire limiti, passaggi, traiettorie, o anche solo lasciare una traccia del movimento e del tempo. La sua capacità di unire performance, segno e spazio ci è sembrata coerente con il nostro intento di costruire un ambiente visivo che sia vivo, corporeo, ma anche astratto e aperto all’interpretazione.
Penwald: 12: prone to stand (2011)[3]
Un altro riferimento che abbiamo preso in considerazione è Dominic Kießling, artista e designer che lavora spesso con materiali leggeri, luce e movimento per creare installazioni poetiche e immersive. Ci ha ispirati in particolare il suo modo di rappresentare fenomeni naturali come l’acqua, il vento o la luce attraverso elementi fisici reali, come teli sospesi, superfici vibranti o strutture in movimento. Questo approccio ci ha suggerito la possibilità di rendere il mare non solo come immagine proiettata, ma come presenza scenica viva, quasi tattile.
L’idea è quella di usare teli o superfici morbide per evocare il movimento leggero e continuo del mare calmo, creando un dialogo diretto tra materia, spazio e proiezione. In questo modo, la scenografia diventa un’estensione fisica del paesaggio visivo e sonoro, più vicina al corpo e all’esperienza dello spettatore. La poetica di Kießling ci ha aiutato a pensare a un mare non digitale ma sensibile, fatto di luce, aria e tessuto, capace di suggerire la profondità e la delicatezza che cercavamo per alcune scene dello spettacolo.
dominic_kiessling.mp4
CHASING NOTHING: installazione di Dominic Kießling.[3]
Performance interattiva realizzata con Tagtool. Foto di OMAi GmbH / Viertelfestival NÖ.
Tagtool è una piattaforma digitale per la creazione di disegni e animazioni in tempo reale, sviluppata per performance dal vivo, installazioni interattive e laboratori creativi. Pensato come strumento per il live painting e la visual performance, Tagtool permette agli artisti di trasformare tablet e dispositivi touch in tele digitali dinamiche, proiettando in tempo reale le immagini create su qualsiasi superficie.
L’applicazione è stata ideata e sviluppata dal collettivo austriaco OMAi (Office for Media and Arts International GmbH), fondato nel 2007 a Vienna da Josef Dorninger, Markus Dorninger e Matthias Fritz (noti anche come Gnu, Maki e iink). Il collettivo considera il live visual come una forma espressiva autonoma, paragonabile per immediatezza e sensibilità all’improvvisazione musicale, e ha concepito Tagtool proprio come "uno strumento musicale per persone visive".
Collegato a un proiettore o a un sistema di output video, Tagtool consente di restituire in tempo reale le composizioni, aspetto che lo rende ideale per scenografie e performance improvvisate. L'interfaccia è progettata per garantire un flusso di lavoro rapido e intuitivo, pensato appositamente per la creazione estemporanea dal vivo.
- Disegno
- Animazione
- Layer multipli
- Sincronizzazione multi-device
- Output video proiettabile
- Interfaccia ottimizzata per live
Il punto di partenza del nostro progetto visivo è stato il desiderio di costruire un linguaggio scenico essenziale ma capace di grande profondità espressiva. Dopo aver analizzato alcune figure di riferimento fondamentali: Hiroshi Sugimoto per l’aspetto fotografico e compositivo, Tony Orrico per l’energia del segno, Dominic Kießling per l’uso fisico e materico del paesaggio. Abbiamo scelto di definire una grammatica visiva che potesse restituire una serie di contrasti: tra pieno e vuoto, luce e ombra, staticità e trasformazione.
La linea dell’orizzonte è diventata il punto centrale della nostra riflessione: una soglia, un confine, ma anche un’apertura verso l’ignoto. Tutte le immagini realizzate per la scena condividono questo principio: sono costruite su una divisione netta tra una parte chiara e una più scura, entrambe in scala di grigi. La scelta del bianco e nero non è solo estetica, ma concettuale: ci permette di eliminare ogni elemento superfluo, lavorando solo con luce, forma e ritmo.
Questa visione ci ha guidato nella creazione di una serie di immagini che non raccontano direttamente, ma suggeriscono e amplificano ciò che avviene sulla scena. Volevamo che lo spettatore fosse messo in condizione di "vedere dentro", di proiettare su quelle immagini sfumate e sospese le proprie interpretazioni, proprio come si fa nel teatro.
Ogni immagine è stata scelta con cura per dialogare con il contenuto drammaturgico delle singole scene. Non si è trattato di creare fondali illustrativi, ma ambienti evocativi, che potessero sostenere il racconto in modo poetico, lasciando spazio all’immaginazione.
- Scena 3 – In questo momento Menelao scopre di trovarsi in Egitto. Per restituire visivamente questa rivelazione abbiamo selezionato tre immagini che rappresentano elementi chiave del paesaggio e della cultura egizia: le piramidi, i templi e le dune desertiche. Non si trattava di riprese documentarie, ma di fotografie reinterpretate per aderire alla nostra grammatica visiva (sfumate, orizzontali, in scala di grigi), così da conservare coerenza anche nei riferimenti iconici.
Immagini raffiguranti luoghi iconici dell'Egitto. Utilizzate durante la scena 3.
- Scena 10 – Il momento della fuga di Elena e Menelao ci ha spinto verso una scelta visiva più poetica. Abbiamo utilizzato due immagini di spiagge e una del cielo notturno, costruendo così un paesaggio che suggerisse movimento, lontananza e mistero. Le immagini, sempre giocate sull’alternanza chiaro-scuro, accompagnano lo stato d’animo della scena.
Immagini raffiguranti il mare dall'alto e il cielo notturno riflesso. Utilizzate durante la scena 10.
- Canto IV – Epilogo – Per la parte conclusiva dello spettacolo abbiamo voluto restituire un senso di sospensione, ma anche di apertura e risoluzione. Le immagini qui si avvicinano molto all’estetica di Hiroshi Sugimoto, con orizzonti netti sul mare calmo, dove cielo e acqua si fondono nella nebbia visiva. Questo paesaggio finale, calmo e silenzioso, chiude il ciclo in modo evocativo, lasciando che lo spettatore si perda in uno spazio mentale astratto.
Immagini raffiguranti l'orizzonte sul mare. Utilizzate durante il canto IV e l'epilogo.
Una volta scelte, le immagini ed editate su Photoshop, sono state importate nel software Tagtool, dove abbiamo iniziato a lavorare sulla stratificazione dei livelli. Ogni scena conteneva da due a tre immagini diverse, distribuite su livelli separati: in questo modo potevamo intervenire sul primo livello “cancellandolo” per rivelare quello inferiore. Questo gesto non è stato pensato come distruzione, ma come atto di svelamento — una forma di narrazione visiva fatta per sottrazione.
La cancellatura è ispirata ai gesti di Tony Orrico, che usa il corpo come strumento grafico. Anche noi abbiamo deciso di affidare questo gesto a due performer che in contemporanea erano responsabili di una metà dell’immagine. Questo non solo aumentava la dinamicità della scena, ma introduceva anche il tema del doppio, presente nell’opera, e trasformava il gesto in un vero e proprio dialogo coreografico.
Lo sviluppo del progetto visivo ha richiesto una sinergia costante tra ricerca artistica, preparazione tecnica e sperimentazione scenica. Dopo aver definito la grammatica visiva e selezionato le immagini, il primo passo è stato quello di suddividerle in più livelli, secondo una logica funzionale alla performance dal vivo. Ogni immagine è stata tagliata in due metà simmetriche, corrispondenti ai due performer. In questo modo abbiamo potuto assegnare a ciascun interprete un proprio “spazio visivo” d’azione, evitando sovrapposizioni ma favorendo un’interazione gestuale continua.
Successivamente, i livelli sono stati importati in Tagtool, il software scelto per la live animation. Ogni scena è stata composta da sei livelli: tre immagini differenti, ciascuna divisa in due porzioni verticali (sinistra e destra). L'ordine dei livelli è stato studiato per consentire una cancellatura progressiva che rivelasse, passo dopo passo, il paesaggio sottostante.
Abbiamo accompagnato questo lavoro tecnico con una fase di restituzione fisica: i performer hanno provato il gesto del "disegnare cancellando", in modo coreografico, valutando ritmo, fluidità e dinamica. Non si trattava solo di togliere qualcosa dallo schermo, ma di compiere un’azione dotata di intenzione, senso, energia. Questo ha richiesto prove pratiche, ripetizioni e una definizione precisa dei momenti chiave per ogni scena.
Screenshot dell'interfaccia di Tagtool rappresentanti i livelli utilizzati durante la performance.
"Elena" Scena 3, spettacolo al Teatro "La Fenice" di Senigallia, 6 Giugno 2025. Foto di @Andresco1799.
Durante la performance, i due performer si trovavano dietro al telo di proiezione, in modo da non essere visibili direttamente, ma solo attraverso le loro ombre. Questa scelta scenografica ha aumentato l'effetto evocativo del gesto: il pubblico assisteva a una trasformazione visiva in tempo reale, accompagnata da silhouette umane in movimento, quasi eteree, che entravano e uscivano dall’immagine.
La cancellatura avveniva in sincronia tra i due performer: uno lavorava sulla parte sinistra dell’immagine, l’altro sulla destra, coordinando il movimento per creare un flusso omogeneo. In alcuni momenti, la cancellazione era lenta e meditativa; in altri, rapida e impulsiva, seguendo l’andamento emotivo della scena.
L’interazione tra performer e immagini era pensata per essere parte integrante della drammaturgia, non un semplice effetto scenico. La cancellatura diventava un atto poetico, un modo per attraversare visivamente lo spazio del ricordo, del sogno o della memoria, senza mai chiudere il significato ma, al contrario, aprendolo a molteplici interpretazioni.
videoveloceeridotto.mp4
"Elena" Scena 3, spettacolo al Teatro "La Fenice" di Senigallia, 6 Giugno 2025. Foto di @Andresco1799.
Il risultato finale è stato un insieme armonico di immagini, corpi e suono, capace di creare un livello ulteriore di narrazione. Il gesto della cancellatura non solo modificava l’immagine, ma trasformava anche lo spazio scenico e lo stato emotivo dello spettatore. Le immagini apparivano e scomparivano lentamente, come visioni interiori che emergono e si dissolvono.
Il pubblico non assisteva semplicemente a una proiezione, ma entrava in un paesaggio visivo abitato da presenze umane, dove ogni gesto diventava significato. Le ombre dei performer, la luce del proiettore, la musica e le voci creavano una stratificazione sensoriale in cui immagine e azione si sostenevano a vicenda.
In questo modo, lo spettacolo ha superato la separazione tra video e teatro, tra visual e performance, proponendo una forma ibrida in cui l’immagine non è sfondo, ma presenza viva e attiva. Un ambiente visivo che non illustra ma suggerisce, non mostra ma lascia emergere, con delicatezza e intensità.
In primis, si può affermare che l’utilizzo di Tagtool, insieme alla pratica della stratificazione e dissoluzione delle immagini, ha trasformato radicalmente la scenografia, elevandola da semplice elemento decorativo a linguaggio scenico attivo. L’immagine non è più sfondo, ma presenza viva, mutevole, in dialogo costante con i corpi, i suoni e le emozioni che abitano la scena.
Il gesto performativo assume così un ruolo centrale: attraverso l’atto del disegno – e ancor più, della cancellatura – il segno acquista un significato plurimo e profondo. Non è soltanto traccia visiva, ma diventa atto simbolico, narrazione in movimento, memoria che si rivela e si trasforma. Cancellare, in questo contesto, non è un atto di negazione ma di emersione: ogni dissolvenza non rimuove, ma svela ciò che sta sotto, aprendo un varco nella percezione dello spettatore.
La scelta di lavorare visivamente sulla linea dell’orizzonte, ripresa e reinterpretata da Hiroshi Sugimoto, non risponde soltanto a un’esigenza formale. Essa diventa soglia concettuale, un confine tra visibile e invisibile, tra ciò che si mostra e ciò che svanisce. È un elemento visivo che riflette uno dei temi centrali dell’opera di Euripide: il rapporto ambivalente tra verità e menzogna, tra identità apparente e identità profonda. L’orizzonte diventa quindi simbolo di ambiguità e tensione, ma anche di possibilità e apertura.
In conclusione, disegnare cancellando incarna il paradosso poetico alla base del progetto: un gesto che non elimina ma rivela, che trasforma la scena in uno spazio attivo e aperto all’interpretazione. È qui, tra rivelazione e menzogna, che racchiude il concept del lavoro visivo del gruppo mare.
L’esperienza di lavoro sullo spettacolo Elena di Euripide ha rappresentato per noi, studenti del corso magistrale in Interaction & Experience Design, un’occasione preziosa per confrontarci con un contesto progettuale inedito, distante dalle consuete dinamiche accademiche. La possibilità di contribuire a una messa in scena reale, destinata a un pubblico vero, ci ha permesso di superare l’idea del progetto come semplice esercizio scolastico, immergendoci in un processo creativo autentico.
Durante la sperimentazione ci siamo scontrati con alcuni limiti tecnici di Tagtool: ad esempio, non è possibile disegnare in contemporanea sullo stesso livello da più dispositivi, e questo ha limitato un po’ le possibilità espressive. Inoltre, per motivi di tempo, non siamo riusciti a usare tutte le immagini preparate non permettendoci di dare giustizia a tutto il lavoro da noi svolto.
Nonostante tutto, l’esperienza a Senigallia è stata molto formativa. Lavorare in un contesto live, insieme a un gruppo di attori molto bravi, ci ha fatto capire davvero cosa significa progettare qualcosa che prende vita davanti a un pubblico.
"Elena" Scena 10, prove al Teatro "La Fenice" di Senigallia, 5 Giugno 2025. Foto di @Andresco1799.
"Elena" Scena 10, prove al Teatro "La Fenice" di Senigallia, 5 Giugno 2025. Foto di @Andresco1799.
Il regista Giorgio Sebastianelli, prove al Teatro "La Fenice" di Senigallia, 5 Giugno 2025. Foto di @GiuliaMarck.
Edoardo(@edoli01), prove al Teatro "La Fenice" di Senigallia, 5 Giugno 2025. Foto di @Andresco1799.
Gaia(@zetalcontrario), prove al Teatro "La Fenice" di Senigallia, 5 Giugno 2025. Foto di @Andresco1799.
"Elena" Scena 10, spettacolo al Teatro "La Fenice" di Senigallia, 6 Giugno 2025. Foto di @Andresco1799.
"Elena" Scena 10, spettacolo al Teatro "La Fenice" di Senigallia, 6 Giugno 2025. Foto di @Andresco1799.
"Elena" Scena 10, spettacolo al Teatro "La Fenice" di Senigallia, 6 Giugno 2025. Foto di @Andresco1799.
"Elena" Canto IV, spettacolo al Teatro "La Fenice" di Senigallia, 6 Giugno 2025. Foto di @Andresco1799.
"Elena" Canto IV, spettacolo al Teatro "La Fenice" di Senigallia, 6 Giugno 2025. Foto di @GiuliaMarck.
- Levin, G. & Brain, T. (2021). Code as Creative Medium: A Handbook for Computational Art and Design. The MIT Press.
- Reas, C. & Fry, B. (2020/2nd ed.). Processing: A Programming Handbook for Visual Designers and Artists Hardcover. The MIT Press.
- Tony Orrico. https://tonyorrico.com/.
- Hiroshi Sugimoto. https://www.sugimotohiroshi.com/.
- Dominic Kiessling. https://www.dominickiessling.net/.
- OMAi GmbH. OMAi. https://www.omai.at/.
- 50 anni da "Il Sovversivo". Scenografie animate di Teller&K. https://www.youtube.com/watch?v=0xpFy51HQzk.
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Euripide, Elena, tragedia greca del V secolo a.C. Maggiori informazioni su Wikipedia.
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Opere fotografiche di Hiroshi Sugimoto tratte dalla serie Seascapes. Maggiori informazioni su sito ufficiale dell'artista.
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Opera di Tony Orrico, parte della serie Penwald Drawings. Maggiori dettagli disponibili sul sito ufficiale.